Questo blog nasce dall'osservazione del nostro comportamento a tavola. Si mangia, si beve, si parla, si discute di tutto e durante il pasto siamo circondati dalla vita intera con tutte le emozioni: si ride, si piange, ci si innamora, si decidono destini della nostra vita, guerra e pace, rapporti di lavoro e di amicizia.

venerdì 28 dicembre 2012

Biscotti al Miele dell'amico della Girandola Marcello de Santis





Ingredienti
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- farina
- zucchero
- olio (o burro)
- sale
- uova
- mandorle o nocciole
spezzettate grossolanamente
- pepe (abbondante)
- miele
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Zia Mimma faceva una montagnola più o meno grossa di farina, poi ci faceva in mezzo una vaschetta, dove versava una manciata di zucchero, un po' d'olio, (era meglio il burro, ma costava un occhio della testa e non se lo poteva permettere), un pizzico di sale, e due o tre uova…
… pigghiame l'ova loco dentro, pe' piacere! prendimi le uova la' dentro, e indicava la cristalliera, per piacere; mi voleva far parte del suo lavoro, sapendo di farmi contento; le dosi le conosceva a memoria; ma io ero convinto che improvvisasse ogni volta.
Continuava a mescolare con le abili dita di una mano, mentre con l'altra piegata a cucchiaio teneva la farina perché non se ne scivolasse per conto suo, e mantenesse la rotondità.
Poi ci faceva colare dentro, da un vasetto, il miele, tanto miele.
Quindi ci gettava a cascata le mandorle dolci o le nocchie, che mi aveva fato scocciare prima, battendoci sopra il fondo di un bicchiere da cucina, sul tavolo; e poi spezzettare in due o tre parti col coltello, Attente a non te tagghia'… attento a non tagliarti….
E riprendeva ad ammassare il composto.
Ma la cosa non era ancora finita, ché a un certo punto, si fermava, prendeva nel ripiano della credenza dietro la vetrata smerigliata, alcune palline di pepe scuro.
Pistamelu bbe', pestalo bene, mi diceva, facendo rotolare i grani grossi su un angolo della spianatoia.
Ciò che io mi affrettavo a fare, col solito bicchiere dal fondo spesso.
Poi raccoglieva le piccole briciole nel palmo di una mano aiutandosi con l'altra, e le faceva scendere, sparpagliandole, sulla palla appiattita della pasta lavorata.
Quindi riprendeva ad ammassare. Poi lo lasciava risposare per un po'.
Nel frattempo io mi avvicinavo al camino acceso e allungavo le mani a scaldarmele.
Fuori era già scuro, il pomeriggio era finito e si stava avvicinando la sera; e l'aria era abbastanza fredda.
A Natale mancavano appena una decina di giorni.
E la notte santa l'avremmo passata lì da loro, che stavano soli, non avevano figli; un mio unico cugino nacque da loro molto più tardi.
Bisognava fare in fretta, ché il forno stava aspettando secondo gli accordi presi in mattinata.
Passata un'oretta circa, si rimetteva all'opera.
Con un coltello tagliava la grossa palla di pasta in cinque/ sei parti.
Poi operava su un pezzo alla volta.
Ci passava i palmi delle mani sopra arrotolando l'impasto che si allungava sensibilmente; ma non ne faceva un filo sottile, ma un cordone bello spesso.
Ottenuto questo, lo appiattiva leggermente premendoci sopra le mani, e quindi ne tagliava, ponendo la lama del coltello trasversalmente, dei tronchetti piatti della lunghezza di un dito o poco più.
Ecco, i biscotti avevano questa forma.
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Finito di sezionare tutti i filoni di pasta che otteneva di volta in volta, prendeva una o due tielle (teglie da forno), che aveva spalmate con un filo d'olio servendosi sempre del palmo di una mano) e le riempiva di biscotti, ponendoli uno vicino all'altra, in più file una sull'altra.
Ecco fattu! Mo gghiò a llu furnu! ecco fatto, ora andiamo a portarli al forno.
Aiutata da mamma, una tiella per uno, una teglia per uno, scendevano le anguste buie scale di quella antichissima abitazione, una dietro l'altra, e via ad infornare.
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Io ne ero ghiottissimo.
Ricordo che appena cotti, ancora caldi caldi, me ne prendevo subito uno ancora bollente e ancora non indurito al punto giusto; diciamo ancora masticabile.
Eh, sì, perché col tempo questi biscotti diventano durissimi, quasi impossibili da spezzare coi denti (ed erano ancora più buoni!)
Mo basta, che s'ànnua da sfredda'… ora basta che si devono freddare…
Il pomeriggio del giorno dopo, tornavamo là per un'altra serata insieme; me ne riempivo le tasche dei calzoni corti; e scendevo di sotto, tra gli altri ragazzini come me, e ne tiravo fuori uno, uno solo, bello grosso, che intanto s'era fatto duro come il marmo; e cominciavo a rosicarlo.
L'acquolina in bocca costernava i miei compagni di gioco.

Girandola di Miele! Ely
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